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IPSI Senago

PRO e CONTRO del simulare una vita

Aggiornamento: 9 ott 2020

Come si spiega il bisogno di simulare una vita?


Proviamo dunque a riflettere su quali siano stati gli elementi più significativi, che hanno portato alcune persone ad un utilizzo così massiccio dei “life simulator” durante questo particolare periodo.

Come ci indica Marisa, i "life simulator" permettono di simulare in maniera spensierata delle vere e proprie esperienze di vita in un arco temporale più accelerato rispetto alle tempistiche reali; ciò permette di raggiungere facilmente traguardi economici e familiari dovuti alla semplicità delle modalità di gioco, ottenendo ciò che si vuole con il minimo sforzo e il massimo risultato.

Potremmo riassumere questo concetto con la frase:


"E' tutto ciò che non riesco ad avere nella vita per davvero e lì è tutto più semplice!"


Durante il lockdown indubbiamente questo è stato ancora più evidente: per i videoplayers il simulatore di vita è stato fondamentale per continuare a vivere in una realtà, seppur virtuale, dove tutto era possibile, accessibile e sicuro, al contrario dello stand-by della realtà esterna.

Come spiega anche Marisa nell’intervista, attraverso il gioco è possibile ottenere gratificazioni che nella vita reale non si riescono a raggiungere oppure sono di difficile realizzazione, gratificazioni che ti fanno mettere radici ancora più profonde in una realtà virtuale appagante, tenendoti collegato al pc per ore di fila, rinunciando seppur temporaneamente, alla vita reale con conseguenze via via sempre più importanti sia a livello fisico (disturbi del sonno, dell’attenzione, della vista, intorpidimento dei polsi, mal di schiena posturale) sia psicologico (irritazione, senso di frustrazione, rabbia) sia sociale (preferenza di relazioni virtuali anziché reali).

Interessante, a questo proposito, è anche l’esperienza che Marisa riporta rispetto al fidanzato, che arriva a rinunciare a trascorrere del tempo con amici e parenti perché preferisce connettersi. Questo apre al confine a volte sottile tra esperienza di gioco patologica e non, tema che spesso ci troviamo ad affrontare nella clinica, ma che non sarà qui approfondito in quanto merita una trattazione a parte (si veda anche: IL RITORNO ALLA VITA “Storia di un hikikomori”).

Da un punto di vista neuroscientifico, la gratificazione legata al videogioco viene anche spiegata da vari studi e ricerche: è possibile osservare infatti come l'utilizzo dei videogiochi porti ad una produzione di dopamina, sostanza chimica del cervello che innalza il tono dell'umore, al pari di altri comportamenti o sostanze che spesso inducono una dipendenza (come il gioco d’azzardo, le droghe o l’alcol) e porta dunque all’attivazione dei cosiddetti “circuiti dopaminergici del piacere” (Marazziti et. al., 2015; Watkins, 2020).



Quali sono dunque i vantaggi di simulare una vita?

  • Vivere in un paesaggio incantato, in una realtà positiva, stimolante e allo stesso tempo sicura e rassicurante, in cui gli spostamenti sono più semplici ed ogni luogo diventa accessibile, a differenza della vita reale più minacciosa e pericolosa.

  • Vivere nell’anonimato, e poter plasmare un nuovo sé: è possibile essere chi si desidera essere.

  • Gli hobby e le attività sono più semplici da compiere e da portare a termine, a differenza della realtà quotidiana che presenta maggiori ostacoli.

  • È possibile entrare in contatto con l’altro in maniera protetta e sicura; l’altro è sempre disponibile (anche il morto nei videogiochi è disponibile!), al contrario della realtà.

  • I fallimenti sono più rari ed è possibile recuperare senza grosse conseguenze.



Quanto è funzionale questa fuga dalla realtà?

Quali conseguenze?


L’utente si ritrova a fuggire dalla realtà e a ricercare gratificazioni nella vita virtuale; in questo modo si rende però maggiormente vulnerabile alle frustrazioni della quotidianità e diventa sempre meno resiliente e capace di affrontare la vita reale.

Il gap tra il mondo virtuale e il mondo reale diventa così più ampio contribuendo ad aumentare la ricerca di gratificazione da parte del videoplayer nel gioco, generando una sorta di “circolo vizioso” da cui può risultare difficile uscire.


“Già tutti i giorni ci sono continui fallimenti rispetto alla propria vita e almeno lì non dovrebbe accadere!”


Il simulatore di vita non solo permette di simulare una realtà che non si può avere, ma offre anche la possibilità di simulare un’identità, ovvero di costruire un Falso Sé (Winnicott, 1974), che può creare profonde conseguenze psicologiche nel giocatore, che perde la sua vera identità, rifugiandosi in un sé che non gli appartiene.

Investire le proprie energie nel videogame può essere quindi un modo per ricercare un’immagine positiva di se stessi, che potrebbe essere venuta a mancare da tutta la vita o, come nel caso di lockdown, essere messa in crisi in un particolare periodo; il “simulatore di vita” può diventare in questo caso un modo per uscire dall’angoscia dettata dai molti punti interrogativi sia lavorativi che sociali, che si sono poi riversati sull’identità stessa della persona, creando una sorta di minaccia di “frammentazione del Sé" (Lingiardi, 2014).

Al contempo ciò può risultare accentuato dalla presenza di una realtà troppo dolorosa o pericolosa, accompagnata da sentimenti di colpa, inutilità, vergogna e autocritica, che può portare l’utente a passare ore e ore senza scollegarsi, pur di rifugiarsi in una realtà parallela protetta da ogni dispiacere e frustrazione.


All’interno del videogioco si possono incontrare altre persone in una forma in cui è possibile tollerare e modulare anche gli aspetti negativi del relazionarsi (es. altro sempre disponibile, che non delude e non impone frustrazioni): tutto questo ci fa capire come talvolta nella società attuale l’altro virtuale possa risultare preferibile all’altro reale perché “meno problematico”, frustrante, difficile da comprendere e più facile da tenere sotto controllo. Ciò protegge il soggetto anche da emozioni potenzialmente incontrollabili e difficili da gestire, rischiando però di rendere sempre più difficile tollerare il passaggio all’altro reale, che invece impone frustrazioni.

La fuga dalla realtà e dall’altro, unita alla costruzione di un Falso Sé, se non si limitano ad un’evasione compensatoria rispetto alla quotidianità ma si sostituiscono a quest’ultima, oltre a togliere energie che potrebbero incanalarsi nella vita reale, contribuiscono a compromettere sempre di più la vita del giocatore, che si ritrova ad accumulare sempre più fallimenti e frustrazioni e, nei casi più gravi, a fare a meno di persone in carne ed ossa e di un lavoro gratificante, perché non ha sviluppato sufficienti strategie di coping e problem solving (Marazziti et. al., 2015; Watkins, 2020). A questo proposito, un fenomeno oggi largamente diffuso tra i giovani che può essere correlato all’uso eccessivo di videogiochi è il fenomeno degli hikikkomori, dove si evidenzia fortemente questo legame tra rinuncia alla relazione reale in favore di una realtà virtuale più gratificante (vedi: IL RITORNO ALLA VITA “Storia di un hikikomori”).


È evidente come, in situazioni di questo tipo, risulti mancante o deficitaria la capacità di regolazione e di porre un limite, che dovrebbe salvaguardare il soggetto da un totale assorbimento nel flusso del gioco (Parenting Science), ma che non sembra essere stata sufficientemente interiorizzata nel corso dello sviluppo, come riscontriamo spesso nei casi di cui occupiamo.


Alla luce di quanto detto, pensiamo sia fondamentale sensibilizzare le persone a sviluppare una miglior consapevolezza e una maggior attenzione rispetto all'uso della tecnologia e dei videogame: in particolare, se si è genitori, ciò è molto importante anche nei confronti dei propri figli...

Per concludere con una provocazione questo viaggio attraverso i "life simulator games", possiamo dire che se i “simulatori di vita” diventano la fonte primaria di gratificazione, anziché simulare la vita, la cortocircuitano!


Articolo a cura di:

Dott. Emanuele Castello, Dott.ssa Helena Afflitto e Dott.ssa Diana Maggio


Bibliografia:

- Dewar G., Ph.D., Video game addiction: an evidence-based guide, 2009 -2013

- Gentile DA, Choo H, Liau A, Sim T, Li D, Fung D, and Khoo A. 2011. Pathological video game use among youths: a two-year longitudinal study. Pediatrics. 127(2):e319-29

- Lingiardi V. e Gazzillo F., La personalità e i suoi disturbi. Valutazione clinica e diagnosi al servizio del trattamento, Cortina, 2014

- Marazziti D., Presta S., Picchetti M., Dell’Osso L., Dipendenze senza sostanza: aspetti clinici e terapeutici, Journal of Psychopathology 2015; 21:72-84

- Scognamiglio R.M. e Russo S.M., IL RITORNO ALLA VITA “Storia di un hikikomori”, conferenza patrocinata dall'Associazione Italiana di Psicologia Psicosomatica, 18 Febbraio 2020

- Watkins M., Video Game Addiction Symptoms and Treatment, America Addiction Centers, 4 Febbraio 2020

- Winnicott D., Gioco e realtà, Roma, Armando, 1974

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